Collebeato, oltre mille anni di storia

Nel 1014 il nome Cubiadum (Cubiado) compare in modo esplicito per la prima volta fra le proprietà dell’Abbazia di Leno nel diploma imperiale di Enrico II. L’etimologia del nome deriva dal latino “copulatum” e sta a significare “accoppiato”.


Fu nel 1014 che per la prima volta viene nominato in un documento scritto il nome del paese (allora nel latino “Cubiadum”), mentre la prima forma italiana risale al 1512 e compare in un poema vergato da Mariotto Martinengo.

Esattamente mille anni fa nasceva … Collebeato. Sì, perché stando a un documento ufficiale pare proprio che il paese al confine tra Valtrompia e città nacque nell’anno 1014.  Dieci secoli esatti di vita per un paese le cui origini rimangono comunque di stampo romano: a evidenziarlo alcuni cippi di età imperale e il resto dell’antico traciato romano che dal cittaadino Ponte Crotte si collegava alla Valtrompia attraversando il territorio collinare di Collebeato. Un nome che proprio mille anni fa comparve in forma latina Cubiadum nel diploma imperiale di Enrico II, figurandovi come proprietà dell’Abbazia di Leno. Poi, le tracce collebeatesi tornano ad avvolgersi di nebbia, ricomparendo nel 1483 all’interno di una descrizione vergata da un nobile veneziano per descrivere il giardino dei Martinengo e l’ameno paese dove trascorrervi le vacanze. Il primo utilizzo del termine italiano “Collebeato” risale invece al 1512, allorché Mariotto Martinengo lo citò in un poema che scrisse in volgare per raccontare la storia dell’assedio francese: “Il pianto del dio Pan per la rovina di Collebeato”. Un nome che di fatto fu da allora quello ufficiale del paese che nell’Ottocento accolse anche come rifugiati le truppe rivoluzionarie che seguivano Giuseppe Mazzini e Tito Speri. Sino a giungere al Collebeato presente, che della pesca è diventato quasi simbolo internazionale, da quando nel 1919 limprenditore Filippo Rovetta importò dalla Louisiana piantine di pesco americano, ben presto imitato da diversi proprietari terrieri del luogo, i quali segnarono così nel solco dell’agricoltura un territorio che dopo mille anni pare ancora ridente, nel rispetto del nome che porta.

Rosa Casari